Un passo di grande interesse del celebre teorico italiano Franchino Gaffurio cita il Credo Cardinalis, chiamandolo Symbolum cardineum, come prototipo di cantus planus scritto con il tipo di notazione mutuato dal ‘canto figurato’ (fatto di longhe, brevi e semibrevi):
Trenta anni dopo il sacerdote veronese Biagio Rossetti riprende quasi testualmente il concetto da Gaffurio nel suo Libellus de rudimentis musices (1529), e associa nuovamente l’uso della notazione mensurale al Credo Cardinalis (indicato qui anche con l’inedito aggettivo ‘patriarchino’), alle sequenze (prosae) e agli inni:
Notas aeque describunt et commensurant figuris cantus mensurabilis, ut longas, breves ac semibreves, ut constat in Symbolo cardineo vel patriarchino, et in prosis et himnis.
La trascrizione in notazione moderna mostra la chiarissima natura mensurale della notazione di questo Credo. Lo stile, come nella stragrande maggioranza dei Credo, è semisillabico: brevi melismi si trovano spesso prima delle cadenze, in particolare associati ad uno stilema ritmico-melodico ricorrente nella prima parte (mi re-mi re do re, oppure si la-si la sol la: cfr. batt. 4, 15, 26, 41, 61, 78, 90, 93). Tutti i versetti (da cantare con la prassi dell’alternanza da parte dei due semicori) si concludono con una chiara cadenza; su diciannove cadenze undici sono a re, cinque a la, due a mi (bb. 33 e 73) e una a fa (b. 148), e dimostrano come il pezzo sia saldamente impiantato nel primo modo autentico, con chiara polarità fra finalis e repercussio (polarità evidentemente ritenuta essenziale al modus dall’ignoto compositore quattrocentesco).
La melodia [ASCOLTA] si muove prevalentemente per grado congiunto, ma sono assai frequenti anche i salti di quinta, sia discendenti, sia ascendenti (la-re o re-la), a cominciare dal solenne incipit declamatorio. Relativamente frequenti sono anche i salti di ottava ascendente re-re, che si incontrano però solo tra la nota finale di un versetto e quella iniziale del successivo (batt. 62-63, 85-86, 140).
Nonostante l’uso di materiale melodico-ritmico ben delimitato e stereotipato (uso prevalente di minime e semiminime, ricorso frequente a figurazioni che nascono dalla fioritura di un suono tenuto, tipo: sol-la-sol-fa oppure la-sol-la-si, o ancora scale ascendenti o discendenti) il pezzo non mostra vere e proprie ripetizioni di singole frasi, configurandosi come continua rielaborazione tematica di alcune semplici linee melodiche elementari.
Il rispetto degli accenti testuali non è molto curato, segno forse di una scarsa preoccupazione dell’autore nei confronti del testo liturgico; questo fatto tradisce anche un modo di comporre che privilegia l’adattamento delle sillabe ad una linea melodico-ritmica inventata precedentemente, anziché rivelare una scrittura che parte dal testo per la costruzione del materiale melodico-ritmico, come invece è certamente avvenuto per lo strato più antico del gregoriano.
In ogni caso si tratta di una composizione musicale importante, che ebbe grande diffusione in Europa, che fu quasi sempre cantata a due voci, secondo la prassi diffusa di secundare le melodie liturgiche, e che mostra una fiorente tradizione sia manoscritta sia a stampa.