IL CREDO CARDINALIS

Il Credo Cardinalis era utilizzato per le festività maggiori (in festis duplicibus). Nello splendido Graduale giuntino in due volumi del 1499-1500, da cui è tratta l'immagine qui a fianco, il pezzo compare come Credo maior all’inizio di una serie di tre Credo mensurali (gli altri due recano la rubrica De Apostolis e De dominica). Nelle edizioni vaticane, dove è scritto con notazione muta dal punto di vista ritmico, possiede l'appellativo di 'Credo IV', ma compare in canto fratto anche nella celebre Editio Medicaea del 1614, come secondo Credo di una serie di quattro. Una precedente versione si legge nel Graduale pubblicato da Angelo Gardano a Venezia nel 1591: si tratta di una versione importante in quanto il libro è stato curato da Andrea Gabrieli, Ludovico Balbi e Orazio Vecchi e deve essere utilizzata nello studio del Credo della messa organistica di Andrea Gabrieli, basato su questa melodia.

Un passo di grande interesse del celebre teorico italiano Franchino Gaffurio cita il Credo Cardinalis, chiamandolo Symbolum cardineum, come prototipo di cantus planus scritto con il tipo di notazione mutuato dal ‘canto figurato’ (fatto di longhe, brevi e semibrevi):

Sunt et qui notulas huiusmodi plani cantus aeque describunt et commensurant figuris mensurabilis consideratio sicut longas, breves ac semibreves, ut constat in Symbolo cardineo et nonnullis prosis atque hymnis: quod Galli potissime ad ornationem modulorum pronunciationem ipsa diversitate concipiendam celeberrime prosequuntur.

Trenta anni dopo il sacerdote veronese Biagio Rossetti riprende quasi testualmente il concetto da Gaffurio nel suo Libellus de rudimentis musices (1529), e associa nuovamente l’uso della notazione mensurale al Credo Cardinalis (indicato qui anche con l’inedito aggettivo ‘patriarchino’), alle sequenze (prosae) e agli inni:

Notas aeque describunt et commensurant figuris cantus mensurabilis, ut longas, breves ac semibreves, ut constat in Symbolo cardineo vel patriarchino, et in prosis et himnis.

La trascrizione in notazione moderna mostra la chiarissima natura mensurale della notazione di questo Credo. Lo stile, come nella stragrande maggioranza dei Credo, è semisillabico: brevi melismi si trovano spesso prima delle cadenze, in particolare associati ad uno stilema ritmico-melodico ricorrente nella prima parte (mi  re-mi re do re, oppure si la-si la sol la: cfr. batt. 4, 15, 26, 41, 61, 78, 90, 93). Tutti i versetti (da cantare con la prassi dell’alternanza da parte dei due semicori) si concludono con una chiara cadenza; su diciannove cadenze undici sono a re, cinque a la, due a mi (bb. 33 e 73) e una a fa (b. 148), e dimostrano come il pezzo sia saldamente impiantato nel primo modo autentico, con chiara polarità fra finalis e repercussio (polarità evidentemente ritenuta essenziale al modus dall’ignoto compositore quattrocentesco).

La melodia [ASCOLTA] si muove prevalentemente per grado congiunto, ma sono assai frequenti anche i salti di quinta, sia discendenti, sia ascendenti (la-re o re-la), a cominciare dal solenne incipit declamatorio. Relativamente frequenti sono anche i salti di ottava ascendente re-re, che si incontrano però solo tra la nota finale di un versetto e quella iniziale del successivo (batt. 62-63, 85-86, 140).

Nonostante l’uso di materiale melodico-ritmico ben delimitato e stereotipato (uso prevalente di minime e semiminime, ricorso frequente a figurazioni che nascono dalla fioritura di un suono tenuto, tipo: sol-la-sol-fa oppure la-sol-la-si, o ancora scale ascendenti o discendenti) il pezzo non mostra vere e proprie ripetizioni di singole frasi, configurandosi come continua rielaborazione tematica di alcune semplici linee melodiche elementari.

Il rispetto degli accenti testuali non è molto curato, segno forse di una scarsa preoccupazione dell’autore nei confronti del testo liturgico; questo fatto tradisce anche un modo di comporre che privilegia l’adattamento delle sillabe ad una linea melodico-ritmica inventata precedentemente, anziché rivelare una scrittura che parte dal testo per la costruzione del materiale melodico-ritmico, come invece è certamente avvenuto per lo strato più antico del gregoriano.

In ogni caso si tratta di una composizione musicale importante, che ebbe grande diffusione in Europa, che fu quasi sempre cantata a due voci, secondo la prassi diffusa di secundare le melodie liturgiche, e che mostra una fiorente tradizione sia manoscritta sia a stampa.

Le molte melodie esistenti di Credo mensurali, solo in piccola parte censite nel repertorio di Miazga [Tadeusz Miazga, Die Melodien des einstimmigen Credo der römisch-katholischen lateinischen Kirke: eine Untersuchung der Melodien im den handschriftlichen Überlieferungen mit besonderer Berücksichtigung der polnischen Handschriften, Graz, Akademische Druck, 1976], attendono ancora di essere pubblicate e studiate. Il progetto RAPHAEL si muove su questa strada.